Di seguito trovate le schede delle più importanti pubblicazioni e i cataloghi editi dalla Galleria.

PIETRO GAUDENZI

Attraverso una selezione di capolavori provenienti da collezioni private, la mostra, realizzata grazie alla collaborazione delle gallerie Berardi (Roma), Enrico (Milano-Genova) e Antichità Giglio (Milano), indaga gli aspetti nodali della produzione del pittore genovese Pietro Gaudenzi (Genova 1880 – Anticoli Corrado 1955).
Formatosi tra La Spezia e Genova, apprendendo dal maestro Cesare Viazzi una particolare abilità nella resa dell’incarnato, Gaudenzi si trasferisce a Roma ventiquattrenne grazie al pensionato artistico “Duchessa di Galliera”. Nella Capitale frequenta gli artisti residenti a Villa Strohl-Fern e lì fa l’incontro più importante della sua vita: quello con Candida Toppi, affascinante modella d’arte proveniente da Anticoli Corrado, allora località prediletta da pittori, scultori e letterati. Ottenuti i primi successi – nel 1911 il Comune di Roma gli acquista il dipinto I priori, nel 1916 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna la Deposizione – richiama l’attenzione di facoltosi collezionisti lombardi, che lo invitano a trasferirsi a Milano. Con la scomparsa prematura della sua compagna, la sua figurazione, a metà tra il materismo di Antonio Mancini e il tonalismo della pittura veneta del Cinquecento, approda a una visione fortemente spirituale che, da quel momento in poi, caratterizzerà tutta la sua produzione.
Un volume a cura di Manuel Carrera, pubblicato a corredo della mostra, ripercorrerà il percorso del pittore ponendo l’accento sul suo vissuto e sulle connessioni con il panorama artistico del suo tempo, attraverso documenti inediti e un ricco apparato iconografico.
Sede della mostra: Enrico Gallerie d'Arte, Via Garibaldi 29R, Genova
Durata: Dal 20 Novembre 2023 al 22 Dicembre 2023
Orari: dal martedì al sabato 10.30 - 13 / 14.30 - 19.00
Info: genova@enricogallerie.com - Tel. 010.2470150

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I MACCHIAIOLI - Avanguardia europea

Enrico Gallerie d’arte porta a Modenantiquaria 2023 un capolavoro di raro pregio dell’illustre Silvestro Lega, qui presentato in anteprima.
Lega non ha certo bisogno di grandi presentazioni. Nato a Modigliana nel 1826 si rivelò quasi subito come un talento pittorico o, come sostiene lui stesso: “Scarabocchiando nei muri, mi si dava a credere che io avessi genio per la Pittura. Arrivai a un punto che ci credetti sul serio”.
Costrinse così il padre a portarlo a Firenze dove rimase però deluso dai tradizionali studi accademici. La città ebbe comunque un ruolo centrale nella sua carriera: è infatti lì che conobbe quelli che saranno poi i compagni del movimento artistico dei Macchiaioli, affermandosi come uno dei suoi principali esponenti.
L’idea dietro al movimento era quella di riportare l’arte italiana agli antichi fasti del Rinascimento, scardinandola dalle regole accademiche e ridando importanza a quella che i macchiaioli consideravano la componente più importante dell’opera: le aree ( o macchie) di
luce ed ombra, con in aggiunta la particolarità di dipingere all’aperto.
Nella straordinaria opera “Il pergolato”, quattro anni precedente al suo più celebre omonimo custodito alla Pinacoteca di Brera, lo spettatore può ammirare tutto il talento ed il pensiero più genuino di Lega in una scena appena abbozzata di pace, luce colore.

Sede della mostra: Quartiere Fieristico ModenaFiere, via Virgilio 90 – Modena
Orari della mostra: Da Lunedì a Mercoledì dalle 15.00 alle 19.00
Da Giovedì a Domenica dalle 10.30 alle 19.00

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Amor fati - Capolavori da Fattori a Morandi

Questa rassegna, che copre un sessantennio di pittura a cavallo tra Otto e Novecento, intende
proporre uno sguardo nuovo, forse insolito, verso ciò che potremmo definire la contemporaneità
del passato e il passato nel contemporaneo.
Che cosa lega Giovanni Fattori a Giorgio Morandi se non la scelta di pochi temi, i più semplici,
e il forte senso strutturale della realtà insieme al consapevole recupero dell’arte italiana? La struttura
pittorica di luce e colore del livornese raggiunge con Morandi una sintesi di puri toni. Svuotata
di presenze umane e di ogni cenno di naturalismo, la realtà è colta nella sua essenza in geometrie
elementari: nulla è più astratto, come diceva il pittore bolognese, del reale.
E come non vedere nel rapporto fecondo e scambievole tra la visione della “macchia” e quella
che più tardi sarà chiamata “impressione” le ragioni di una spinta antiaccademica e di rinnovamento
e di una portata rivoluzionaria della luce? Quella dei primi, statica e solenne, nel ricordo dei maestri
del Trecento e Quattrocento, chiusa in sintetiche forme che acquistano tridimensionalità tramite forti
contrasti di luce e colore. Quella dei secondi, una pittura di apparizioni e trasparenze, sul grande
esempio di Corot, vibrante e fluida per catturare gli istanti di una realtà mutevole. Da una parte le
distese infinite della Maremma, le perenni e placide colline fiorentine, i vicoli medievali bui e affollati.
Dall’altra i dintorni di Parigi, le luci e il pullulare cromatico dei grandi boulevard con i loro caffè,
le interminabili promeandes, la vita un po’ frivola e leziosa di una borghesia divertita e annoiata in
una modernità che allora veniva chiamata progresso. Due linguaggi innovatori, la visione sintetica
strutturale dell’avanguardia toscana e quella per impressioni cromatiche dell’avanguardia parigina,
la radice di quell’asse Giotto-Cézanne che allo scorcio dell’Ottocento costituirà un ponte verso l’arte
del nuovo secolo.
Signorini, coscienza critica del movimento, amico di Degas e come Lega affascinato dalle
conquiste di Courbet e Manet, si recherà più volte a Parigi. Degas e Monet, insieme a Courbet e
altri, esporranno a Firenze e soggiorneranno più volte in Italia. A Parigi si stabiliranno prima De
Nittis, seguito da Boldini e Zandomeneghi, attratti dalla visibilità dei Salons e dal successo sulla
spinta internazionale di Goupil e Durand-Ruel. “Les impressionistes italiens” è il moderno epiteto
che indica la portata di questo straordinario fenomeno di esportazione che darà sviluppi differenti e
individuali, sempre più autonomi.
De Nittis, il barlettano capace di una rapidità di scorci, di riverberi e di infiniti campi ottici, tra
Manet e Turner. Zandomeneghi, l’unico italiano tra gli impressionisti, come lo definì Diego Martelli
seguito da Roberto Longhi, con il suo intimo sguardo sul mondo femminile, vibrato da minute pennellate
che nel colore guardano a Fragonard e anticipano le ricerche puntiniste sulla luce. Boldini, infine,
magistrale su più registri, infallibile fotografo della transitorietà, che fissa il focus in un dettaglio – uno
sguardo, un gesto, un’architettura – per frantumare il resto dell’immagine in un vortice di larghe sciabolate
protofuturiste o, viceversa, trattenerle da una lenta e inesorabile sparizione.
Sulla scena parigina arrivarono anche le opere di Raffaele Sorbi, fiorentino della scuderia
Goupil, interprete del gusto à la mode alla Meissonier, e di Guglielmo Ciardi, veneziano puro, che
ha saputo tradurre nella laguna la visione senza tempo, ferma e sintetica dei macchiaioli.
Si entra nella modernità del dopoguerra e, dopo le avanguardie, in quel sentimento di ritorno
ai valori della tradizione, da Giotto a Masaccio a Cézanne, che si traduce in rigore pittorico, in
ricomposizione dei valori formali e in semplicità del racconto, come nei quadri abitati ma silenziosi
di Ottone Rosai.

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Paolo Stamaty Rodocanachi e la Pittura in Liguria tra '800 e '900

Con Pini sul mare, 1921, prodomo di Novecento, Carlo Carrà cristallizza nel paesaggio ligure una nuova rappresentazione mitica della natura. Il mare solidificato, i volumi giotteschi della casa e della montagna, l’evocazione di un senso di sospensione temporale e di solitudine saranno ricorrenti nell’opera di un gruppo eterogeneo di artisti che si accosteranno al clima Novecento in Liguria.

Il terzo volume dei Quaderni dell’Ottocento è dedicato al Novecento in Liguria con un omaggio a Paolo Stamaty Rodocanachi, tra i pittori liguri quello che meglio ha saputo collegare all’atmosfera magica del dopoguerra il richiamo per l’antico, rivisitando la rivoluzionaria sintesi tonale della pittura di paesaggio del secolo che lo ha preceduto.

Bosco di betulle, con sui si apre il catalogo, è un traguardo tra i più alti raggiunti dal giovane pittore greco-genovese, artista colto che in questo insolito scorcio delle foreste del vicino Monte Beigua richiama le atmosfere argentee del nord, Gustave Klimt e Carl Larsson, presenti a Venezia nel 1910 e a Roma nel 1911, per l’aspirazione ascensionale e la chiarità di una visione illuminata da riverberi lenticolari e striature di luce fredda, ma anche alla dimensione eterea e fluttuante, in assenza di ombre e peso corporeo, dell’arte dell’estremo oriente.

Dalla campagna di Arenzano, dove si stabilisce dal 1930 insieme alla moglie Lucia Morpurgo, scrittrice, amica e traduttrice segreta tra gli altri di Montale e Sbarbaro, le sue geometrie incontrano le improvvise variazioni di un paesaggio collocato tra la pianura azzurrina del cielo e solo raramente del mare e i ripidi pendii degli uliveti attraversati da impervie strade. La prospettiva è aerea e il senso dello spazio è dilatato in una luce pervasiva e totale che tinge di ocra il muraglione di una strada, di rosa e di bianchi le case, di verdi argentei gli ulivi protesi al cielo. I pali della luce, gli alberi dalle ramificazioni spoglie, i muri di cinta degli orti, le strade tortuose di terra battuta, le case, tutto si traduce in forme pure, cilindri, cubi o parallelepipedi riportati in geometria piana dalle ombre, anch’esse emanazione di luce e colore secondo quella magistrale sintesi di accordi tonali già conquistata da Rayper e dai “grigi”. Nei suoi paesaggi, sempre solitari, domina il silenzio. Alle tonalità intense si lega una materia essenziale, concisa come i titoli dei suoi quadri, Meriggio o Oliveti, due dipinti presentati alla Biennale di Venezia nel 1934 e nel 1936. La sua pittura, talvolta tirata fino al non finito, tenderà a una progressiva spoliazione naturalistica e ad atmosfere sempre più terse e metafisiche.

Sul versante opposto, quello levantino, Chiavari e Portofino, la corrente novecentista in Liguria incontrerà significative espressioni in Emanuele Rambaldi e Pietro Dodero, sulla spinta della solida presenza di Alberto Salietti, patrocinatore e segretario del movimento della Sarfatti e presente a Chiavari sin dagli anni dieci.

Ne La canzone d’Italia, capolavoro presentato alla prima mostra di Novecento a Parigi, nel 1926, Salietti condensa le due anime del movimento in direzione di un “ritorno all’ordine”, tra arcaismo semplificato e senso classico e monumentale della figura: davanti a scarni volumi giotteschi, dilatati in una straniante prospettiva divergente, che ribalta anche sul piano la fuga della strada, si stagliano due figure in grande scala rispetto allo spazio reale per enfatizzare, come in Carrà, il senso retorico della narrazione. Le linee e i colori concisi di questo scorcio di paese ligure, come suggerisce la striscia di mare dietro l’albero di arancio, e i gesti sospesi delle figure permeano l’immagine di una quiete solenne non estranea a uno stupore metafisico, turbata soltanto dalla cieca apertura buia della casa.

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RUBALDO MERELLO e la pittura in Liguria tra '800 e '900

Quanti colori ha il blu? Quanta luce si nasconde sotto l’erba rosa nella mattina di una giornata che promette di diventare felice? La Liguria è una tavolozza. Il vento del mare porta fogliame viola nei pini ritorti, memoria di tutti i soli che il mare ha ingoiato. La Liguria è memoria e desiderio che riverbera la luce verissima dei dolori e delle gioie che mille maestri non potrebbero dipingere. La Liguria è una tela ruvida dove tutto ciò che c’è già dall’inizio dei tempi può sempre prendere forme nuove. La Liguria è un quadro inverosimile e incredibile, verniciato con la patina salata delle sue vedute e incorniciato nell’oro del sole, che si stupisce ogni giorno.
Questo secondo volume dei Quaderni dell’ottocento è dedicato alla pittura ligure e si apre con un gruppo straordinario di dieci dipinti divisionisti di Rubaldo Merello, pittore solitario e visionario, ossessionato da un unico soggetto, il Promontorio di Portofino, trasfigurato in una materia allucinata dal sole e infiammata da colori dominanti, i rosa crepuscolari e i blu elettrici, inverosimili eppure così reali, e percossa da inquiete sciabolate rosso-violetto come le due tele straordinarie esposte da Aberto Grubicy nel Salon des Peintres Divisionnistes Italiens di Parigi del 1907, qui eccezionalmente ripresentate al pubblico.
Ancora, è il divisionismo del tutto personale di Giuseppe Cominetti e Domenico Guerello a colpire gli occhi per l’intensità di luce e colore, attraverso la pittura filamentosa e vivida del primo, che condensa in due piccoli oli di figura le suggestioni mitologiche e simboliste degli anni parigini, e la sintesi geometrica e mentale del secondo, in una tela dal taglio quadrato inconsueto, giocata sul forte controluce tra le fronde di un albero e la veduta aerea su cui si staglia ieratico, permeata di una luce diafana e violetta quasi metafisica.
Su un altro registro, di dimensioni monumentali, si muove il divisionismo di Antonio Discovolo e Sexto Canegallo. La grande tela del primo è un capolavoro che ricorda Seraut per il chiarore cromatico, l’atmosfera immobile e classica, e la chiarezza e verità con cui la vita campestre è ricreata. Le due tele del pittore sestrese, invece, per l’ermetico simbolismo e la tensione inquieta delle figure avviluppate in spire ascensionali e curvilinee d’ispirazione futurista, ci sconcertano ancora oggi come sconcertarono il pubblico parigino nel 1925.
È la Liguria più misteriosa e segreta quella nelle tele di Ernesto Rayper e Serafino De Avendaño, fondatori della moderna scuola di paesaggio di metà Ottocento. Le loro vedute en plein air dell’entroterra, con i loro scorci remoti e nascosti, sono dominate da verdi e grigi argentei quasi monocromi, da cui prende il nome il loro celebre movimento, e da un istinto lirico innovatore.
Il viaggio in Liguria prosegue con le splendide vedute costiere dei protagonisti del realismo del secondo Ottocento. Si va dalla luce che bagna i colori in una vibrante sintesi tonale di Angelo Costa, con il sole che colpisce la strada lungo la costa di Santa Margherita Ligure, alla presenza dirompente del mare, delle sue onde quasi tangibili e sonore nelle audaci visioni impressioniste di Andrea Figari e Giuseppe Sacheri, sino alla pittura poeticamente sintetica di Lazzaro Luxardo, che del divisionismo mantiene il colore acceso, e a quella più terrestre del lombardo Pompeo Mariani, forse il più francese tra quelli che guardavano la Liguria, in una tela dove l’unica linea che separa il cielo dal mare è l’orizzonte brulicante di vele, puntellato da colori veneti, del porto di Genova.
La Liguria, nonostante i mille modi in cui è stata vista, trasfigurata e celebrata, rimane quella tela ruvida da dipingere dei nostri sogni e ricordi. Ma i suoi più celebri artisti, oggi come allora, ci insegnano a contemplarla, immaginarla e viverla.

Angelo Enrico

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ETTORE TITO - Catalogo generale delle opere di Ettore Tito

A cura di Angelo Enrico e Francesco Luigi Maspes
Presentazione di Fernando Mazzocca

Il Catalogo ragionato delle opere di Ettore Tito (1859-1941) è frutto di un lavoro di ricerca diretto nel corso dell’ultimo quinquennio da Angelo Enrico e Francesco Luigi Maspes. Il progetto, finalizzato a un approfondimento della produzione del pittore di origini campane ma veneto d’adozione, segue il lungo percorso artistico di Tito, attraverso un arco cronologico che dai primi saggi, eseguiti durante il periodo di formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, giunge fino al termine della sua attività, interrotta dalla morte nel 1941.
Il catalogo, presentato da Fernando Mazzocca e corredato da apparati tecnici e da una biografia a cura di Silvia Capponi, si avvale della collaborazione di Anna Mazzanti e Paul Nicholls, i cui saggi consentono di approfondire e mettere in relazione la figura di Ettore Tito rispetto al vivace panorama artistico italiano e internazionale dell’epoca.

- Formato 24 x 30 cm
- 496 pagine
- 265 immagini a colori
- 576 immagini in bianco e nero
- Cartonato
- Prezzo di copertina: € 150

USCITA: DICEMBRE 2020

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ANIMA MUNDI. Il sentimento del colore 1850 - 1950

La mostra, che il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Mario Rimoldi delle Regole d’Ampezzo propone per la stagione invernale è un percorso suggestivo dentro al quale si snodano quattro differenti tematiche che guardano al Paesaggio, al Ritratto nelle scene di vita quotidiana, al Lavoro dell’uomo, e termina con un omaggio a quattro figure femminili del secolo scorso: Emma Ciardi; Rosetta Fontanarosa; Lina Rosso e Alis Levi.
In questo contesto saranno esposti 80 dipinti provenienti da importanti collezioni private, da Fondazioni Bancarie e una selezione delle opere della prestigiosa collezione Mario Rimoldi.
Lo sguardo ammiccante della misteriosa Madame X di Giovanni Boldini è la piccola istantanea di una scena sensuale e segreta che ci porta all’interno di una mostra affascinante: un percorso attraverso il sentimento del colore nella pittura italiana e veneta tra Ottocento e Novecento.
Dalle ‘divine’ e mondane donne immortalate dai parisien d’Italie, la rassegna si addentra poi nell’impresa di narrare i mille volti del paesaggio con un nucleo consistente di opere degli innovatori della pittura veneta dell’Ottocento: Guglielmo Ciardi; Ettore Tito; Giacomo Favretto; Alessandro Milesi e Luigi Nono. Un paesaggio che parte dalle incantevoli vedute della ‘sensuale’ Venezia fino a raggiungere lo spirito della montagna che si apre ai grandi spazi, alla vastità dei cieli, alla solennità di una veduta che si rigenera nella serenità e nella quiete dei luoghi d’affezione.
Il lavoro e la fatica dell’uomo, è un altro dei temi che la mostra affronta con spettacolari dipinti del Novecento tra i quali: La zolfara, di Renato Guttuso; Scaricatori di carbone di Armando Pizzinato e le Donne al telaio, di Fortunato Depero che l’artista inserisce in quel teatro plastico dentro al quale il soggetto si trasforma in automa e manichino di se stesso.
Una particolare sezione della mostra è dedicata a quattro donne che hanno saputo rinnovare il linguaggio pittorico con una forte sensibilità femminile: Emma Ciardi, Lina Rosso, Rosetta Fontanarosa e Alis Levi, raffinata e colta pittrice inglese, che sceglie Cortina d’Ampezzo quale luogo dell’anima e che rimane la protagonista di un milieu intellettuale tra Venezia e la città Ampezzana. Tutte queste opere sono esposte in dialogo con la collezione Mario Rimoldi, che presenta al secondo piano del Museo una selezione dei dipinti scelti per un approfondimento sui temi della mostra.
Una sezione particolare sarà dedicata ai suggestivi paesaggi innevati, ritratti dagli autori nei diversi luoghi, tra i quali: Venezia, Milano e naturalmente Cortina. L’esposizione presenta inoltre una piccola sezione dedicata a quattro artisti contemporanei che si confrontano con i temi della mostra, la sezione denominata: Suggestioni Contemporanee presenta le opere di: Andrés David Carrara, Leonardo D’Este, Serena Nono, Beppe Saretta. Al secondo piano del Museo è allestita un’ampia selezione delle opere della prestigiosa collezione Mario Rimoldi in linea con le tematiche e i linguaggi presentati dalla mostra Anima Mundi, oltre ad alcune opere di autori contemporanei, anch’essi in stretto dialogo con essa: Paolo Barozzi, Franca Coppadoro, Gianfranco Mantovani Orsetti, Mario Sollazzo.

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FELICE CASORATI

Con quest’opera cruciale della prima fase della ricerca casoratiana, la nostra galleria pone l’attenzione su un’immagine iconica della cultura figurativa dell’inizio del Novecento. Un’opera che per quanto giovanile - è datata 1910 - s’impone sui canoni consolidati dell’oggettivismo figurativo del secolo precedente, se non di stagioni più lontane: per la disposizione realista al tema raffigurato, un ritratto di gruppo en plain air, per lo schema compositivo regolato da una ripartizione orizzontale, per il senso circolare della narrazione, che attraverso la rotazione degli sguardi coinvolge emotivamente l’osservatore. Altri elementi, invece, riuniti in una singolare unità, aprono le porte al mondo poetico casoratiano più conosciuto, quello riconoscibile a un occhio più ‘novecentista’. A quella poetica, ovvero, che affronta problemi luministico-atmosferici senza sconvolgere la sintassi, che anzi attraverso un linguaggio sintetico, si può dire ‘secessionista’ o neo-quattrocentesco, preavvisa una modernità personale e ben orientata allo spirito del Novecento. Il classicismo novecentista di quest’opera giovanile non si dichiara ed esaurisce nell’evidenza dei sensi - forse ancora troppo acuti nella ricerca fortunyana del particolare - o in qualche connotazione psicologica, ma nell’essenza di uno stile rarefatto e cifrato, tradotto in maniera insolita da quei verdi giotteschi, aspri e stridenti, stesi a campiture tese, che conferiscono all’immagine un’intonazione metallica e cangiante e un senso di straniante spiritualità, internamente vissuta, che più tardi diverrà ‘silenzio metafisico’.
Alcune fotografie di qualche anno prima ritraggono Casorati giovanissimo, nella sua minuscola soffitta di Padova, studente di giurisprudenza con la tavolozza e i pennelli alla mano. In quegli anni assimila l’arte antica e si avvicina alla componente sintetica della pittura europea, soprattutto mitteleuropea, resa con una stesura piena, concentrata e assimilante la luce. A Padova l’incontro con Boccioni non stimolò le sue fantasie, non lo interessarono la corrente divisionista e nemmeno la bufera futurista proclamata poco dopo a Venezia. Casorati aspirava piuttosto a un senso elevato, privato e al tempo stesso universale dell’arte, guardava ‘dentro di sé’ e per affinità elettiva a quei valori mai superati dei maestri antichi e di un passato prossimo ormai ben assimilato. Da Ciardi, Nono e Fragiacomo, che spesso lo affiancavano nelle esposizioni venete, sembra assorbire quel senso di trasfigurazione del vero e di sospesa malinconia da lui trasposto nei dipinti di figura, dove i trasparenti cerulei lagunari virano in prove smaterializzate, dalle tonalità sorde e bruciate. Mentre gli artisti ufficiali acclamati alle Biennali, come un Tito o lo spagnolo Zuloaga, potevano interessargli per l’energica espressione pittorica ma non per il rutilante e chiassoso modo di sentire.
Dal 1907, all’età di ventiquattro anni, si trasferisce a Napoli, reduce dall’esordio veneziano alla Biennale. Lo frastorna questa città troppo ‘ridente, pittoresca e scenografica’, troppo esteriore per la sua ricerca artistica sempre meditata dall’interno. Eppure è proprio a Napoli che si definisce, attraverso un tormentato studio dal vero, la persistenza di un tema importante, quello di giovani e vecchie figure femminili, che rimarrà per tutta la sua vita al centro dei suoi interessi.

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GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO

In occasione dei 150 anni dalla nascita di Giuseppe Pellizza da Volpedo, la Galleria Enrico e le Gallerie Maspes, con sforzo comune, hanno inteso promuovere una doppia occasione espositiva in Milano – città dove Pellizza svolse il suo primo percorso accademico e dove espose con continuità tra il 1888 e il 1906 quando presentò Il sole 1904, alla Mostra Nazionale per la inaugurazione della Galleria del Sempione, (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea), partecipando con un ruolo da protagonista al dibattito sorto intorno al Divisionismo e al Simbolismo nell’ultimo quarto del XIX secolo in Italia. Nella città che fu il teatro d’esordio della nuova tecnica pittorica, il Divisionismo, espressione di modernità, lascito concettuale e linguistico per le Avanguardie del Novecento, viene presentata dunque una selezione di opere dell’autore volpedese, per la prima volta dopo la mostra monografica tenutasi presso la Galleria di Lino Pesaro nel 19203 – insieme a quelle di alcuni artisti con i quali egli saldò e visse un forte legame di amicizia, di condivisione di ideali, e di reciproca influenza: Nomellini, Segantini, Morbelli, Vittore Grubicy. Si presentano poi opere di autori per i quali la pittura di Pellizza rappresentò fonte di ispirazione e di arricchimento, come avvenne per Carlo Fornara. E ancora, altre affinità hanno motivato l’accostamento al nucleo pellizziano di artisti che rispetto all’autore del Quarto Stato mantennero una posizione più distante, ma che appaiono a noi oggi, nella prospettiva storica, pur nelle distinte evoluzioni della tecnica e delle rispettive poetiche, avere condiviso un simile contesto culturale, come Previati, o Longoni.

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BOLDINI E DE NITTIS. FEMMINILITA' A LA MODE NELLA PARIGI IMPRESSIONISTA

Giuseppe De Nittis e Giovanni Boldini sono da tempo definiti, assieme a Federico Zandomeneghi, i tre grandi italiens de Paris. Una serie di rassegne, organizzate negli ultimi decenni in varie città italiane, con annessi saggi e schede di opere in catalogo, risultate fondamentali per studiare e riscoprire l’attività di questi pittori nel contesto parigino, ha contribuito a creare una sorta di legame quasi indissolubile tra questi geniali interpreti della Belle Époque parigina.
L’occasione della mostra odierna, con un nucleo di una ventina di dipinti di entrambi i pittori incentrati sulla gura femminile, e la presenza, tra queste, di un’opera preziosa quanto enigmatica di Boldini, quale il Pastello rosa, legata a uno dei capolavori del pittore tuttora con varie zone d’ombra che abbiamo in parte cercato di svelare in questo contesto, ci ha permesso di soffermarci non solo sul complesso rapporto personale e lavorativo tra i due artisti, ma anche sui modi differenti di concepire la femminilità mettendo in luce, inoltre, l’importanza riconosciuta da entrambi al pastello, elevato, anche grazie ad essi, a tecnica nobile.
Originari di Barletta (De Nittis) e di Ferrara (Boldini), partiti da luoghi diversi d’Italia dopo aver soggiornato entrambi in precedenza a Firenze, e stabilitisi nella capitale francese in via de nitiva tra il 1868 (De Nittis) e il 1871 (Boldini), i due artisti entrarono subito in contatto con la committenza dei grandi mercanti di allora, in particolare della maison Goupil, e vennero apprezzati dai collezionisti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia. Tuttavia, nonostante avessero frequentazioni comuni, in particolare con Edgar Degas e con diversi artisti italiani di passaggio a Parigi, non si cercarono, né si sostennero a vicenda.
L’elemento che li accomuna fu certamente il desiderio di affermarsi a Parigi, la città in cui rimasero fino alla fine della loro vita, trovandovi un successo superiore a quello di cui godettero in Italia. La mostra mette a confronto i due più grandi peintres italiens sul tema della femminilità, centrale nella loro opera e tra i più rappresentativi di un'epoca che leggeva nell'universo femmineo l'anima di un mutamento, il lento sfiorire di quel clima di raffinatezza, stanchezza del mondo ed esasperazione della moda di cui le donne erano protagoniste. Attraverso il corpo delle donne Boldini e De Nittis dipinsero il trapasso di un mondo reale o idealizzato, fuggente come uno sguardo sottratto al pittore. Quello che entrambi dipinsero non fu la bellezza, né la bellezza che sfiorisce; furono i sogni di un'eleganza in un mondo che stava per morire. Il catalogo intende ricostruire questo momento storico artistico e lo spirito del tempo attraverso un nucleo di opere di notevole importanza, alcune note, altre riscoperte, radunate grazie a un lungo lavoro di ricerca e di acquisizione non privo di circostanze fortuite, e raccontare la storia di uno dei capolavori di Giovanni Boldini, qui ribattezzato "Pastello rosa".

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UN SALOTTO D'ARTE - capolavori ritrovati per una collezione

Chi nell’Ottocento metteva piede sul morbido tappeto o sul parquet scricchiolante di un salotto tra piacevoli decorazioni e spumante dorato, entrava in un luogo di incontro non solo della splendida gente della raffinata borghesia, ma anche delle opere d’arte lì esposte.
In quelle alte stanze rimbombanti di conversazioni si poteva sentire l’elettricità, appena scoperta, per l’eccitazione di trovarsi davanti a uno dei nuovi capolavori dei migliori artisti di quei tempi. E di notte, quando l’eco dell’indimenticabile serata si rifiutava di mettersi a riposo, i quadri segretamente parlavano tra di loro. Perché questo voleva dire collezionare arte: non solo mettere insieme un perfetto specchio della propria anima, ma anche dare vita alle opere, offrendole orgogliosamente agli occhi invidiosi degli altri e dando ai quadri un contesto vissuto con altri quadri dove poter respirare.
Il collezionismo è la memoria che raccorda lo spirito del tempo ai suoi protagonisti. Era servita a qualcosa la ghigliottina: potevano partecipare tutti. L’arte non era più il segreto nascosto nelle sale buie della corte, ma poteva arrivare dove la gente si riuniva nella luce del salotto, che era l’epicentro iperattivo di una cultura condivisa.
Oggi, mentre il concetto stesso di una cultura condivisa, anche tra le generazioni, diventa sempre più problematico tra squilli di cellulari, interessi spezzati e le mode che passano più veloci delle canzoni popolari alla radio, ho avuto l’ambizione di ricreare un tipo di salotto ottocentesco nel quale conservare e riproporre l’atmosfera elettrizzante di tranquillità dove i capolavori del passato hanno l’opportunità di dialogare tra di loro e dirci ancora qualcosa degna del nostro ascolto.
La mano del pittore non cerca solo soggetti nuovi, possono andare bene anche quelli tradizionali, ma cerca soprattutto modi nuovi per esprimerli in un tentativo incessante di caricare il mondo riflesso sulla tela con le proprie emozioni. Per questo i quadri oggi esposti ci dicono ancora qualcosa: sono veri, perché le emozioni non mentono.
Colui che colleziona arte è un collezionista di verità, espressa in colori del passato, che con la sua passione conserva e porta al futuro.

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GALLERIA PESARO - storia di un mercante creatore di collezioni

Dal 21 settembre al 14 ottobre 2017, alle Gallerie Maspes di Milano (via Manzoni 45), una mostra rende omaggio a Lino Pesaro (1879-1938), organizzatore di esposizioni d’arte e di vendite all’asta di primaria importanza e analizza trent’anni di attività di uno dei più solerti mercanti milanesi.
Nato a Reggio Calabria da padre ferrarese di origini ebraiche, dopo gli studi primari, Michelangelo detto Lino si trasferì a Venezia per intraprendere gli studi universitari e da lì, arrivò a Milano dove, nel 1904, avviò un’attività di commercio, che sfociò nel 1917 nella nascita della Galleria Pesaro in via Manzoni, in Palazzo Poldi Pezzoli.
La mostra, curata da Angela Madesani e Elisabetta Staudacher, è costituita da cento cataloghi provenienti da quella storica galleria, autentico patrimonio lasciato da Lino Pesaro, di cui è presente anche il ritratto realizzato da Guido Tallone. Dopo la dispersione all’asta di intere collezioni e la chiusura delle molteplici mostre, ciò che in effetti rimane delle opere passate nelle sale della galleria Pesaro sono le pubblicazioni che accompagnarono questi eventi e che ci permettono di ricostruire una storia unica e ricca di fascino.
Il visitatore sarà accompagnato alla scoperta dei cataloghi selezionati secondo un criterio che predilige l’importanza della rassegna di riferimento o il semplice “gusto estetico” delle copertine, che rivelano una composizione artistica particolarmente interessante e che contengono presentazioni dei più accreditati critici d’arte dell’epoca tra cui Ugo Ojetti, Vittorio Pica ed Enrico Somarè.
Accompagna la mostra una pubblicazione, ideata da Angelo Enrico e Francesco Luigi Maspes, a cura di Angela Madesani e Elisabetta Staudacher, che approfondisce l’attività svolta a Milano da Lino Pesaro.

Per l’occasione sono stati schedati oltre 380 cataloghi, in parte lussuose edizioni illustrate, con copertine disegnate da artisti contemporanei.Il volume si apre con un saggio di Angela Madesani, storica dell’arte, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera e all’Istituto Europeo del Design, che racconta uno spaccato storico particolarmente vivace della città ambrosiana riconoscendo il giusto peso alla Galleria Pesaro, luogo di incontro delle avanguardie futuriste e di Novecento Italiano, così come punto di riferimento per i collezionisti dell’arte italiana dell’Ottocento. Le ricerche archivistiche riguardanti la figura di Lino Pesaro, condotte per l'occasione dallo storico Saverio Almini, sono riassunte in un’appendice documentaria a corredo del saggio.
Nicoletta Colombo, studiosa di arte italiana dell’Ottocento e del Novecento, approfondisce invece l’importanza del costante passaggio in galleria di un considerevole numero di opere del XIX secolo, poi confluite in prestigiose collezioni pubbliche e private, dal Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, a Le due madri di Giovanni Segantini. Segue, infine, il saggio di Elisabetta Staudacher, storica dell’arte specializzata in pittura italiana del secondo Ottocento, che propone una lettura, ancora insondata, di Lino Pesaro collezionista di dipinti del XIX secolo, la cui raccolta venne dispersa in occasione di un’asta tenutasi nel 1931 proprio nella sua galleria.

Il catalogo sarà presentato in due occasioni: mercoledì 20 settembre alle 18.00 alle Gallerie Maspes di Milano e a Firenze dalle Gallerie Enrico in occasione della Biennale Internazionale d’Antiquariato (23 settembre - 1 ottobre 2017), nella suggestiva cornice di Palazzo Corsini.

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La Venezia di Ciardi e Favretto - Il silenzio della laguna le ciacole della città

È una giornata d’estate, verso l’ora meridiana. La laguna di Venezia sospira e si veste di una nebbia invisibile che fa sembrare le cose come sono veramente. Nelle calle c’è ombra, ma quella è un’ombra viva, che non sta ferma mai, perché sta cercando di scoprire i segreti dei secoli, ma ce ne sono troppi, non riesce a nasconderli, si scalda, suda e si stanca. Nella calle Tron si avvicina un uomo misterioso, con un passo troppo leggero e elegante per essere il passo di un uomo. Si vela la faccia nell’ombra di un ombrellino giallo. Ha movenze raffinate e un’eleganza che non è di questi tempi. Il passo leggero dei suoi tacchi rimbomba tra le vecchie mura del sestiere di Santa Croce. L’erba spunta fra le pietre antiche consunte dal tempo, quasi per curiosità di vederlo. Le popolane chiacchierone e i ragazzi veloci delle calle si fermano, e lo fissano in silenzio. La sua presenza inquieta e affascina come una storia che non si può raccontare a alta voce.
Non è un uomo. È la signora Cecilia Zen. Sta per entrare nel portone sbiadito del suo palazzo, sotto lo sguardo minaccioso di un mascherone. Voci sussurrano che lei ama organizzare per il suo divertimento feste di natura grottesca e piccante. Per una perversione che non possiamo sondare, lei ama vestirsi da uomo. I ragazzi e le donne del quartiere la guardano e pensano al declino della grande Venezia. La fissano, zitti, ma quando lei chiuderà l’imponente portone alle sue spalle cominceranno le ciacole, i pettegolezzi correranno su tutte le calle e le piazze della città.
Questi due aspetti di Venezia, i suoi silenzi misteriosi e i pettegolezzi del popolo, riuniti nel quadro di Giacomo Favretto che figura in copertina, sono il filo conduttore della presente mostra. Ventitré opere dei più grandi artisti dell’epoca fanno respirare l’aria di quel posto meraviglioso e stanco, e mettono in luce la quiete e i rumori che rallegrano la vita quotidiana di una città che fu Serenissima.
Le opere qui selezionate, tutte racchiuse in un arco temporale ristretto, tra l’ottavo e il nono decennio dell’Ottocento, testimoniano la straordinaria fortuna riscossa dalla nascente scuola pittorica veneziana sulla scena espositiva e collezionistica internazionale.
Il nucleo più consistente della mostra è composto dalle opere dei due capiscuola della pittura veneta dell’Ottocento, il paesista Guglielmo Ciardi e il cantore della vita quotidiana Giacomo Favretto. Il Ciardi di questi anni riverbera l’intensa luce della laguna sullo specchio terso e limpido della sua pittura, con un anelito all’infinito nei tenui e delicatissimi passaggi tonali interrotti soltanto, sulla linea impercettibile dell’orizzonte, dalla comparsa di solitari bragozzi veneziani. L’amico Giacomo Favretto guarda invece, con spirito gioioso, alle salde emozioni sulla terraferma. Coco mio è una scena materna, tenerissima, condotta con una resa pittorica virtuosa e moderna per l’impressione del vero appena suggerita. Mentre Le nostre esposizioni, opera giovanile qui eccezionalmente esposta, lo fa con l’ironia delle facce un po’ caricaturali che riderebbero guardandosi allo specchio. Tra le sue scene galanti, di cui fu maestro indiscusso, è presente il conosciuto Venditore di uccelli, in una ricca ambientazione d’esterno che farà scuola in ambito veneto e che troverà grande seguito all’estero.
È una Venezia sempre più suggestiva e inedita quella rappresentata da Ettore Tito, con uno sguardo acuto e accattivante sulla realtà già proiettato verso la modernità. Ne La fa la modela, altro dipinto ritrovato di recente, estrae il motivo delle occhiate licenziose e gelose rivolte a un’elegante donna di passaggio, mentre in Al mercato afferra un’istante quotidiano da lontano, dall’altra sponda del canale, dove protagonista non è tanto il brulicare di vita sulle fondamenta veneziane ma la smagliante accensione cromatica di una vela dispiegata sul primo piano.

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ANTONIO MANCINI (1852 - 1930) Il Piccolo Savoiardo - Storia ed Analisi di un Capolavoro. A cura di Cinzia Virno.

La curatrice dell'Archivio e del Catalogo Ragionato di Antonio Mancini, Cinzia Virno, ha curato questa importante pubblicazione edita dalla Galleria Enrico.

L’interesse crescente sul fenomeno di internazionalizzazione della pittura italiana dell’Ottocento, che ricade in un ambito di studi ormai europeo, ha da tempo messo in rilievo e in certi casi riscoperto il fitto intreccio di relazioni, di reciproci scambi e di influenze tra artisti italiani e artisti stranieri. È il caso, forse tra i più emblematici, del pittore Antonio Mancini. Romano di origini e napoletano di adozione, si affermò nel mondo artistico internazionale soggiornando per lunghi periodi a Parigi e a Londra insieme a altri italiens lì residenti - in particolare Giuseppe De Nittis, amico degli impressionisti e più aperto alle innovazioni -, mantenendo per quarant’anni rapporti di lavoro con i più grandi galleristi sulla piazza internazionale, Goupil, Mesdag e altri. Sargent, all’apice della sua carriera, lo considerò il migliore pittore vivente.
Oggi, nelle sale della nostra Galleria, possiamo mostrare al pubblico un’opera tra le sue più rinomate, Il Piccolo Savoiardo, eccezionalmente ricomparsa sul mercato antiquario. Il dipinto passò nel 1877 alla Maison Goupil, la più celebre impresa nel mercato d’arte del tempo, e circolò nelle sue numerose filiali aperte nelle principali città europee e d’oltreoceano. L’opera rimpatriò da Londra e nel primo dopoguerra entrò nella prestigiosa collezione del ragioniere Mario Rossello a Milano, dove figurava insieme ad altri capolavori di Mancini e dell’ottocento italiano. Da questa collezione, raffinata e ‘segreta’ perché poco accessibile al pubblico, l’opera viaggiò più volte, richiesta per le maggiori rassegne manciniane: dall’antologica di Milano del 1921, alla grande retrospettiva con la quale Roma celebrava l’artista nel 1931, a pochi mesi dalla sua scomparsa, sino alla rassegna di pittura italiana al Jeu de Paume di Parigi di qualche anno più tardi.
Il modello, un giovane orfano abruzzese soprannominato Luigiello negli scritti autobiografici del pittore, compare via via in molte opere di Mancini, nelle vesti ora di uno scugnizzo, ora di un venditore ambulante, ora di un elemosiniere, ora di un suonatore di strada, come si presenta nel nostro dipinto. Da qui, il nome di “piccolo savoiardo” con il quale l’opera è più comunemente nota, che Ojetti gli attribuì derivandolo, probabilmente, dal titolo di una novella ottocentesca che potrebbe avere ispirato il soggetto.
In quest’opera è già pienamente conquistato quel verismo psicologicamente interpretato che più tardi lo spingerà verso ricerche estetiche oltre il figurativo. Appena venticinquenne, la sua ambizione era quella di indagare la realtà con un forte sentimento naturalistico, neocaravaggesco, scandagliando la vita quotidiana soprattutto nella duplice valenza emotiva e sociale: è la solitudine e la malinconia, nel nostro caso, di un giovane orfano, figlio della classe dei poveri. Questo tema dickensiano, così reale nell’Europa dei grandi cambiamenti sociali, conquistò l’interesse e il gusto dell’élite internazionale, da tempo oscillante tra il fortunato filone del genere folkloristico italiano e la denuncia sociale, nemmeno tanto nascosta. Soggetto che Mancini riprese più volte, sia negli anni parigini che in quelli seguenti, incontrando importanti attestazioni di committenza e di critica: opere ritraenti lo stesso modello si trovavano nelle collezioni Jucker, Albert Cahen e Capranica del Grillo.
Attraverso il filtro veristico della sua pittura, rispondente a un comune sentire ancora oggi moderno, possiamo ammirare una delle opere pittoriche più alte della sua produzione artistica e tra la più rappresentative dell’ottocento italiano.

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OTTOCENTO ITALIANO - Maestri a confronto

Con questo volume vogliamo inaugurare i “Quaderni dell’800”, una interessante collana che intende documentare le rassegne autunnali della nostra Galleria allo scopo di valorizzare temi e argomenti della pittura italiana dell’ottocento attraverso una selezione di opere di importanza storico-artistica, riscoperte di recente o di rara reperibilità.
Anche quest’anno le sale della nostra Galleria riflettono il crescente interesse del mercato e della critica internazionale per il fenomeno della grande pittura italiana affermatasi nel primo secolo dell’età contemporanea in Europa. A partire da Giovanni Boldini, che fece folgori con i suoi rapidi guizzi protofuturisti qui apprezzabili in una Venere marmorea del Parco di Versailles, quasi animata da una brezza autunnale, e nel bellissimo profilo di donna addolcito da tinte di porcellana. Pure la giovane modella di Federico Zandomeneghi, a pastello, emerge da vaporosità di toni neoveronesiani con un gusto da école de ballet acclamato dal mercato parigino. Con l’en plein air di Luigi Chialiva abbiamo uno sguardo sull’Ile-de-France, dove il pittore ticinese soggiornò a lungo raccontando temi quotidiani e idilli campestri con un verismo mitografico e poetico della realtà.
Su un altro territorio ma con un analogo filtro arcadico si affaccia uno dei maestri della ‘macchia’ toscana, Silvestro Lega, che rivisita nella tavoletta qui esposta gli ambienti caldi e famigliari delle tenute fuori porta fiorentine. Di stringente effetto macchiato sono pure tre bellissime opere affini per stile e temi, tutti riferibili a quella tradizione contadina modello per un’unità morale nell’Italia post-unitaria. L’aratura del piacentino Stefano Bruzzi, di precoce osservanza fattoriana per l’uso di una luce zenitale neoquattrocentesca, L’Arcolaio di Telemaco Signorini, una scena di realismo sociale aggiornata alla cultura impressionista internazionale, e Aspettando di Giovanni Fattori, una testimonianza sentita della sua maturità che spinge la ‘macchia’ verso una stesura vibrata ed espressiva, personale, del motivo paesaggistico. In Vittorio Matteo Corcos vediamo rappresentata l’altra faccia della Toscana di fin de siècle, con un’ambientazione elegante e mondana particolarmente richiesta dalla clientela di Goupil.
La natura è di nuovo protagonista anche se trasfigurata in una visione lirica, con assonanze all’opera di Turner, nel piccolo olio che Antonio Fontanesi dedica all’amica Watson negli anni londinesi. Un accento inconfondibilmente lombardo-piemontese si ritrova anche nei due grandi en plein air di Eugenio Gignous e di Giovanni Battista Quadrone, il primo dalle pennellate vibranti e sfrangiate, oscillanti tra scapigliatura e impressionismo, il secondo dalla meticolosa costruzione formale per la quale si meritò l’appellativo di ‘Meissonnier italiano’. Naturalismo che approda a tonalità chiare e argentee presso la coeva pittura veneta di cui presentiamo due maestri: Guglielmo Ciardi, in due magistrali opere, per l’impercettibile mutare della luce tra cielo e acqua, entra una sottilissima griglia tonale, e Ettore Tito, in un’opera di diverso impatto visivo per il moderno taglio fotografico e i brillanti contrasti cromatici che gli procurarono fama nelle principali piazze europee e oltreoceano.
Della scuola meridionale presentiamo la triade di artisti più acclamata all’estero: Vincenzo Irolli, in una tela di grande impegno per dimensione e composizione, Antonio Mancini e Francesco Paolo Michetti, in soggetti di realismo sociale e quasi visionario per l’interpretazione pittorica suadente e al tempo stesso di forte introspezione psicologica. Da ultimo, ma non per importanza, Pompeo Mariani, qui presente in due tele che bene illustrano la vocazione di questo grande colorista, vero impressionista tra gli italiani e dalla brillante carriera internazionale: da una parte, lo studio diretto del vero, dall’altra, l’interpretazione del sentimento di un’attualità in continuo mutamento, tra passato e modernità.

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FARE L'ITALIA - Il Risorgimento romantico ed eroico nei dipinti di Edoardo Matania (1847 - 1929)

Se Giuseppe Verdi creò la colonna sonora dell’unità d’Italia, la sua immagine fu immortalata da Edoardo Matania.
La mostra Fare l’Italia. Il Risorgimento romantico e eroico nei dipinti di Edoardo Matania (1847-1929) presenta per la prima volta al pubblico una cinquantina di dipinti del grande illustratore napoletano Edoardo Matania con scene del nostro Risorgimento.
Nell’Italia post-unitaria, e a breve distanza da quei fatti eroici, era giunto il momento di costruire il consenso di una memoria collettiva nazionale. Matania fu chiamato a Milano da Emilio Treves, editore d’avanguardia, per costruire in immagini una moderna mitologia, eroica e romantica, del Risorgimento. Fu un successo editoriale clamoroso. Le sue immagini, che servirono per illustrare in xilografia eleganti volumi quali Garibaldi e i suoi tempi (1884), Storia del Risorgimento italiano (1887-1888), La vita ed il regno di Vittorio Emanuele II di Savoia (1901), divennero popolarissime e saranno riprese all’infinito. Ancora oggi non c’è testo o mostra sul Risorgimento che non ne faccia uso.
Le opere qui eccezionalmente riunite appartennero alla collezione di Emilio Treves e dal 1938, con l’acquisizione della casa editrice, entrarono in quella di Aldo Garzanti, imprenditore appassionato dell’epica risorgimentale.
Questi “grandi quadri” - secondo l’originaria nomenclatura - offrono al visitatore l’opportunità di ammirare dal vivo la qualità della sua opera pittorica, che ottenne un riconoscimento critico a livello nazionale in occasione delle rassegne a lui consacrate dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1901) e dal Castello Sforzesco di Milano (1942).
Le scene illustrate, e la cronologia degli eventi, hanno principio dall’avventura post-napoleonica tentata da Gioacchino Murat, il re straniero che per primo lottò in nome dell’indipendenza italiana (1815), sino all’Unità realizzata da un re italiano, Vittorio Emanuele II, con la proclamazione di Roma a capitale del nuovo Regno (1871). Garibaldi, l’eroe nei campi di battaglia, è la figura retorica per eccellenza. Mazzini, l’apostolo, è la guida dei nuovi martiri. Cavour, è il genio politico. Vittorio Emanuele II, è la figura carismatica che allargò l’ideale d’indipendenza del padre al concetto dell’unità e della libertà. Non manca neppure una moderna eroina, la principessa di Belgioioso, che, salpata da Napoli con la nave Virgilio con duecento patrioti volontari, sbarcò a Genova alla volta di Milano, in aiuto agli insorti delle Cinque giornate.
La mostra, e il catalogo che l’accompagna, mettono in luce le strategie comunicative di Matania in rapporto ai recenti studi sulla propaganda risorgimentale. Il pittore si affida alle fonti documentarie e visive del tempo: dalle cronache di guerra, alle testimonianze dirette in forma narrativa o epistolare, ai reportage fotografici, i primi di questo genere, all’opera dei pittori-patrioti che l’hanno preceduto. Grande disegnatore e dotato di una formidabile gestualità pittorica, dimostra un istinto da cineasta quando segue visivamente il movimento dei suoi protagonisti sulla scena rappresentata.

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Natura, Realtà e Modernità

Pittura in Liguria tra '800 e '900

La pubblicazione è articolata in cinque sezioni distinte e annovera un numero cospicuo di opere (circa 90) tale da poter permettere un excursus pittorico che partendo dalla metà dell'800 approda ai primi decenni del XX secolo. Dal vedutismo romantico, rappresentato dalle vedute di Ippolito Caffi e Domenico Cambiaso, ai paesaggi di Ernesto Rayper, Alberto Issel, Benedetto Musso e Serafino De Avendano, i maggiori rappresentanti della Scuola dei Grigi; dalle ricerche realiste e le scene di genere di Antonio Varni, Tammar Luxoro, Giuseppe Pennasilico e Giovanni Battista Torriglia al rinnovamento divisionista e simbolista, rappresentato da artisti quali Antonio Discovolo, Rubaldo Merello, Cornelio Geranzani e Angelo Barabino, fino al Novecento di Alberto Salietti e Pietro Gaudenzi. Una panoramica eterogenea ed articolata che offre un suggestivo percorso attraverso le molteplici e diverse espressioni pittoriche ad ennesima conferma di quanto la storia della pittura ligure sia stata ricca di pregevoli personalità artistiche aperte alle diverse proposte di rinnovamento, spesso precorritrici di nuove soluzioni formali, e che suggerisce una riflessione in merito a quante scoperte, spunti e approfondimenti possa ancora offrire e riservare. Accanto ai nomi di Plinio Nomellini e Gaetano Previati, liguri non di nascita ma di adozione, per i quali la città di Genova rappresentò una tappa importante nella loro formazione artistica, abbiamo dedicato anche uno spazio particolare alle opere di Giorgio Belloni e Pompeo Mariani. I due pittori lombardi, maestri del naturalismo, consacrarono una parte rilevante della loro produzione ai paesaggi della Liguria e alle scene portuali. I "pittori del mare", come furono definiti, instaurarono infatti un forte legame affettivo con la terra ligure; Belloni era solito trascorrere lunghi soggiorni a Sturla e Mariani elesse Bordighera come paese di residenza. Le luci, i colori, i moti delle onde fornirono continua ed inesauribile ispirazione da cui nacquero capolavori della pittura naturalista.

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Dai Macchiaioli ai Divisionisti. Grandi Protagonisti nella Pittura Italiana dell'800

A differenza delle edizioni precedenti, che si sono succedute nel corso della nostra ormai pluridecennale attività, in questa occasione la mostra si articola in tre sezioni distinte, rappresentate rispettivamente da dipinti di artisti Macchiaioli, da opere dei maggiori esponenti delle diverse scuole regionali e da un nucleo dedicato ai pittori divisionisti.
Questa nutrita ed eterogenea raccolta permette un'ampia panoramica sulla nostra pittura italiana che cronologicamente dagli inizi della seconda metà dell'800 ci accompagna fino ai primi decenni del XX secolo.
Certamente la nostra esposizione non vuole e non può essere esaustiva sui diversi movimenti artistici rappresentati, in quanto ognuno di essi meriterebbe chiaramente una mostra a sé stante; avendo avuto recentemente, però, l'occasione di raccogliere un rilevante corpus di opere molto significative, abbiamo ritenuto opportuno esporle e pubblicarle in un unico volume. Questa nostra iniziativa ci ha permesso in primo luogo di ricostruire in modo preciso e puntuale la storia di due importanti dipinti quali 'Il richiamo del contingente' di Odoardo Borrani e 'Grandi manovre' di Giovanni Fattori e di correggere il percorso espositivo e bibliografico di 'Via di campagna con cipressi' di Giuseppe Abbati che in passato è stato oggetto di diverse imprecisioni; ci ha fornito, inoltre, l'occasione di presentare ha 'La piccola ballerina', un capolavoro di Antonio Mancini mai esposto al pubblico, e di proporre opere di artisti di "caratura" internazionale, come Giovanni Boldini, Giuseppe de Nittis, Federico Zandomeneghi e Alberto Pasini, accanto ad alcuni tra i più prestigiosi interpreti
della nostra pittura, quali, per esempio, Gerolamo e Domenico Induno, Luigi Nono, Giacomo Favretto, Luigi Conconi, Emilio Gola e Vittorio Matteo Corcos; ci ha dimostrato, infine, ancora una volta, quanto la storia della nostra pittura italiana sia stata ricca di forti e originali personalità, di proposte di rinnovamento formali e di contenuto, di linguaggi variegati ed eterogenei, dal Realismo al Naturalismo, dalla Scapigliatura all'Impressionismo, dal Simbolismo al Divisionismo, e di quanto ancora, come nel caso dei dipinti di Borrani e di Fattori, ci sia da scoprire e studiare. A chiusura della nostra pubblicazione, la sezione sul Divisionismo, che è rappresentato da alcuni dei nomi più rilevanti e che annovera un sufficiente numero di opere tale da poter tracciare un percorso che da Vittore Grubicy, passando attraverso Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Carlo Fornara, Plinio Nomellini ed Emilio Longoni, arriva a Cesare Maggi e Angelo Barabino, riuscendo così ad illustrare i molteplici approcci alla tecnica divisa che fu estremamente personale e condotta in maniera differente in base alla sensibilità di ciascun artista.
La speranza è che il frutto di questo nostro impegno, in questa tipologia di professione che si dimostra sempre più difficile e impegnativa, alla luce del difficile periodo storico che stiamo vivendo, non deluda le aspettative del nostro pubblico che in tutti questi anni di attività ci ha seguito costantemente e con affetto e che, dimostrandoci sempre grandi consensi per il nostro operato, ci ha spronato a continuare il nostro cammino attraverso la pittura dell'ottocento italiano.

Angelo Enrico

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19th CENTURY ITALIAN PAINTINGS

Dal 27 Giugno al 03 Luglio 2013 La Galleria Enrico parteciperà a 'Masterpiece London' nella prestigiosa sede del South Grounds del Royal Hospital Chelsea. 'Masterpiece London' riunisce collezionisti, espositori e curatori da tutto il mondo per uno spettacolo senza precedenti di arte, antiquariato e design. La Galleria Enrico esporrà una importante rassegna delle varie scuole della pittura italiana dell'800 ed un capolavoro del pittore Giovanni Boldini, 'Ritratto della Principessa Cécile Murat Ney d'Elchingen' - 1910, olio su tela, cm. 239 x 130. La pubblicazione, con la storia del dipinto, è stata curata dalla D.ssa Stella Seitun e da Angelo Enrico.

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LUCI E COLORI nella Pittura Italiana dell'800

Quest'anno siamo lieti di inaugurare la stagione espositiva della nostra sede di Milano con un catalogo che comprende opere accuratamente selezionate di pittori italiani dell'800.
abbiamo raccolto e selezionato con cura gli artisti e la qualità delle loro opere, nella speranza di poter oggi offrire una esposizione di livello, che ben riesca a rappresentare questo periodo a noi caro.
Confidando che il nostro lavoro sia gradito, ringraziamo sin d'ora tutti i collezionisti e gli amanti dell'arte, che in questi anni con la loro stima ed il loro sostegno ci hanno incoraggiato a realizzare anche questo progetto.
Opere dei seguenti artisti:
Angelo Morbelli, Mosè Bianchi, Vincenzo Cabianca, Nicolò Cannicci, Vincenzo Caprile, Egisto Ferroni, Guglielmo Ciardi, Emilio Gola, Gerolamo Induno, Emilio Longoni, Cesare Maggi, Pompeo Mariani, Francesco Paolo Michetti, Plinio Nomellini, Ruggero Panerai, Antonio Paoletti.

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Luigi Nono (1850 - 1918)

E' con grande soddisfazione che presentiamo questa mostra dedicata ad un nucleo di cinque capolavori del pittore Luigi Nono.
Opere storiche, documentate, conosciute attraverso le fotografie o i documenti dell'epoca, ma che da diversi decenni risultavano disperse, di ubicazione sconosciuta. Dipinti quindi che ritornano alla luce quasi come inediti e, proprio perché come tali, fortissima è stata l'emozione che ha accompagnato la loro riscoperta.
Dopo una ricerca avvenuta con grande impiego di tempo, dispendio di forze e notevole fatica, riteniamo di aver conseguito un risultato che pensiamo abbia ripagato i nostri sacrifici, in quanto siamo riusciti a presentare una piccola raccolta che permette però di ripercorrere le tappe fondamentali del cammino artistico interpretativo dei sentimenti umani tipico della produzione di Nono.
I dipinti infatti ricoprono un arco temporale compreso tra il 1875, data di esecuzione de il Marmoccchio, opera fortemente rappresentativa del periodo giovanile, esposta al Salon di Parigi nel '76, fino ad arrivare, attraverso Il bimbo malato, straordinaria composizione di grande impegno sociale risalente al 1885, ad opere che rappresentano i più alti livelli raggiunti dalla piena maturità artistica del pittore, quali La preghiera della sera del 1908, tela dall'atmosfera suggestiva e raccolta, e Un caro nome e Ave Maria, datati rispettivamente 1914 e 1918, soggetti particolarmente famosi e popolari della produzione di Nono le cui nostre versioni ritrovate permettono di completare il corpus delle composizioni ispirate a questi due soggetti.

I testi e le ricerche sono state curate dal Prof. Paolo Serafini, studioso di Luigi Nono e autore del Catalogo Ragionato di cui questa pubblicazione può essere considerata un'integrazione, e al quale desidero porgere un particolare e pubblico ringraziamento per il suo prezioso contributo e per la sua generosità nell?averci messo a completa disposizione il suo archivio e la sua profonda conoscenza della biografia e dell'opera di Nono.

Confidiamo, con la presentazione al pubblico e alla comunità scientifica di questo nucleo di dipinti del tutto inediti o non più visti da decenni, di aver dato il nostro contributo alla valorizzazione e alla conoscenza della pittura veneta ed italiana del XIX Secolo.

Angelo Enrico.

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Pittura dell'800

Nel complesso panorama artistico europeo del XIX secolo,
la pittura italiana merita veramente un posto di riguardo.
Movimenti come il Verismo, la Scapigliatura lombarda,
i Macchiaioli toscani, i Divisionisti, non hanno nulla
da invidiare ad altre scuole europee, per la loro originalità,
per la qualità delle opere, per i contenuti, per la poesia
e i sentimenti espressi in esse.
L'Ottocento italiano ha sempre goduto di un solido mercato
costituito da un numero elevato di veri collezionisti, i quali,
con amore e passione, hanno nutrito, fin dai primi del '900
un vivo e costante interesse per questo periodo artistico,
che nel corso dei decenni è andato via via intensificandosi,
diventando così, anche da un punto di vista economico,
un solido baluardo alle turbolenze dei mercati, tant'è vero
che la tendenza dei collezionisti a non privarsi delle loro opere,
rende sempre più problematico reperire dipinti significativi
da proporre alla nostra clientela.
Questa Rassegna, che annovera una cinquantina di quadri
selezionati, offre una panoramica, se non totalmente
esaustiva, speriamo sufficientemente rappresentativa delle
espressioni artistiche nell'arte pittorica del secolo scorso.
Ci auguriamo, quindi, di aver organizzato e allestito
una Collettiva di Pittura dell'Ottocento all'altezza delle
aspettative dei nostri clienti, amici e visitatori, che cogliamo
occasione di ringraziare per l'interesse con cui ci hanno
seguito nel corso di tutti questi anni.

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Antonio Discovolo - Bonassola e il 'Poema della Liguria'

Piccola ma selezionatissima mostra personale di Antonio Discovolo. Si tratta di sette importanti opere, tutte raffiguranti Bonassola e il suo golfo.

Sette dipinti raccontano frammenti della vita di un pittore che, giovanissimo, dal primo decennio del Novecento, decide di stabilirsi nella Riviera Ligure di Levante, a Bonassola, piccolo borgo spezzino che per più di quarant'anni sarà l'oasi adatta al suo operare intellettuale e artistico. Scopre per la prima volta la Liguria nel giugno 1902, dapprima Bocca di Magra, poi Tellaro, nella parte più orientale del Golfo dei Poeti di La Spezia. Soggiorna due mesi e mezzo in questo paese incantato passando molte ore nella sola osservazione del mare, negli infiniti movimenti delle onde per abituare l'occhio a rifare quel movimento e le sagome della schiuma. Poi è la volta di Portovenere cui segue il decisivo incontro con Manarola, tra l'agosto e il settembre 1903: Quella giornata mi rimase indimenticabile e mi fece decidere molte cose nella mia vita. Deciderà di abitarvi per cinque anni incuriosito anche di scoprire i luoghi immortalati da Telemaco Signorini nei suoi soggiorni liguri dell'ultimo decennio del Secolo - finché nel 1910 non si ritira definitivamente nella vicina Bonassola, in una casa da lui fatta costruire di fronte al mare e fra gli ulivi, un luogo solitario creato per la religione del mio lavoro e la serenità del mio spirito. In questo piccolo paese, un golfetto di smeraldo chiazzato d'azzurro, di giallo e di malachite per le pinete scrive nel 1921 l'amico pittore e storico dell'arte Orlando Grosso - Discovolo ritrae nei suoi quadri assolati e nei notturni ogni motivo alpestre e marino, ogni manifestazione della vita che si conduce nella conca meravigliosa, così che non saprei ricordare un paesaggio bonassolese senza rievocare uno dei suoi celebri dipinti. S'inerpica lungo i pendii scoscesi della costa, col peso del cavalletto e dei colori, e dipinge dal vero, su superfici di grandi dimensioni, il paesaggio ligure soleggiato o avvolto dalle luci della sera: il pittore va innanzi, cauto, con la tela: dietro, la sua meravigliosa donna, che lo accompagna sempre, e poi, mentr'egli dipinge, si accoccola in qualche angolo al ridosso, tutta avvolta negli scialli, e attende, e di tanto in tanto lo conforta con una voce: dietro ancora un villano con il cavalletto, la cassetta dei colori, lo sgabello: e, se c'è, dietro ancora, l'amico, che guarda la scena, e sorride e si commuove. Pini, ulivi, mimose, agavi irrompono selvagge sul fondo azzurro del mare. Trait d'union e principio di compenetrazione del paesaggio è l'elemento naturale colto singolarmente e a distanza ravvicinata: da qui lo sguardo ben saldo si spinge sino ai piani prospettici più lontani: egli ha sempre rifuggito dal panorama: nel particolare egli trova la sua ispirazione, più concreta e più schietta: si avvicina meglio alle cose, ne interpreta l'anima, se la fa cantare nel cuore, e, quando se ne sente tutto pieno, così che gli par sua la voce che l'ha commosso, allora, e non prima, dipinge. La sua natura, ritratta nelle grandi tele dipinte all'aperto, là solida e là liquida, s'accorda alla rapidità d'impressione di una pittura che dopo le iniziali sperimentazioni divisioniste, dopo le crudezze vetrigne e le lucentezze di metallo, giunge ad un sempre più largo e plastico impasto. Egli è attratto dai valori cromatici e di luce, mutevoli e contraddittori, della costa ligure: la luminosità estesa da tonalità chiarissime a base di colori complementari, le rocce magenta, gli oliveti, le pinete, le vigne, la variopinta flora e le trasparenze marine sono frutto dell'immediata sensazione ricevuta dall'effetto coloristico del soggetto da ritrarre. Viceversa, la restituzione pittorica del paesaggio è cifrata da una lettura formale di tipo costruttivo, non descrittivo.

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Antonio Fontanesi (1818 - 1882). Il lavoro della terra - 1867.

La Galleria Enrico è orgogliosa di poter proporre ai propri collezionisti 'Il lavoro della terra', uno dei capolavori assoluti di Antonio Fontanesi, geniale e carismatico esponente di quella Pittura dell'800 innovativa nella tecnica e nei contenuti, che ha lasciato traccia indelebile di sé nella Storia dell'Arte.
Dipinta nel 1867, l'opera, frutto delle molteplici esperienze degli anni precedenti, appartiene alla piena maturità del pittore ed è fortemente rappresentativa della sua produzione artistica. 'Dipingere, prima di morire, un gran cielo e una pianura immensa', auspicava Fontanesi per la sua Arte; riuscire a trovare il senso dell'infinito nella realtà circoscritta. La raffigurazione di un paesaggio andava al di là della trasposizione sulla tela della realtà circostante, doveva riuscire a manifestare l'intimo sentire dell'artista, suggerire gli stati d'animo suscitati dalla contemplazione della natura, diventare lo specchio dell'anima.
Il lavoro della terra soddisfa pienamente questa condizione: è un'orchestrazione di sensazioni, emozioni, riflessioni, che si percepiscono con grande intensità nel momento in cui ci si sofferma ad osservarlo, rinforzando la consapevolezza di essere di fronte ad un vero e proprio capolavoro.
Dall'accurato approfondimento storico-critico della dott.ssa Dunia Grandi si può già chiaramente intuire l'inequivocabile importanza di questo dipinto, ma siamo certi che sarà l'opera stessa con la sua vibrante potenza, con l'acuta profondità introspettiva e con questa poetica sospesa tra il bucolico e il mistico, a palesare le ragioni del nostro entusiasmo e quello di chi prima di noi si è trovato al suo cospetto, come dimostrano gli articoli ad essa dedicati, gli illustri collezionisti che ne sono rimasti affascinati e le prestigiose raccolte delle quali ha fatto parte.
La motivazione che sta alla base di questo nostro lavoro è quella di offrire nuovi strumenti di lettura e di fornire una più completa documentazione comparativa tra le opere più significative del maestro, per evidenziare così l'importanza che ha Il lavoro della terra non solo per il suo impatto emotivo, ma anche perché illustra il percorso che ha permesso a Fontanesi di creare un'opera che per soggetto, qualità pittorica e dimensioni, assurge a emblema del suo pensiero artistico.

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Pittura in Liguria tra '800 e '900. Da P. D. Cambiaso a Orlando Grosso

La Galleria Enrico è lieta di poter presentare questo nuovo catalogo Pittura in Liguria tra 800 e 900 - da P. D. Cambiaso a Orlando Grosso che, come si evince già dal titolo, ha una veste editoriale legger mente diversa dai precedenti; esso si articola infatti in due sezioni distinte, una dedicata alla pittura ligure da Pasquale Domenico Cambiaso alla prima metà del '900, e l'altra, strettamente connessa alla prima, è un omaggio al pittore genovese Orlando Grosso, realizzato attraverso una piccola mostra retrospettiva.
Affrontando un lasso di tempo così vasto, oltre un secolo di storia della pittura, e data la quantità del materiale in nostro possesso, si è resa necessaria una separazione in due corpi distinti per permettere una consultazione più organica e lineare delle opere selezionate.
Nella continuità e coerenza delle proprie scelte artistiche, che ci auspichiamo siano sempre state condivise dai nostri collezionisti e da tutti gli appassionati che in questi anni ci hanno espresso il loro consenso, la Galleria Enrico ringrazia tutti coloro che li ha incoraggiati e stimolati nelle iniziative intraprese e dedica loro questa nuova pubblicazione.

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Pittura in Liguria tra '800 e '900

Quest'anno siamo lieti di inaugurare la stagione espositiva della nostra sede di Genova con un catalogo interamente dedicato alla pittura ligure e della Liguria: un percorso tra '800 e '900 che comprende 56 opere accuratamente selezionate.
La manifestazione, che fa seguito a numerose altre iniziative intraprese dalla Galleria, si propone di esplorare non solo gli aspetti già acclarati di questo complesso perìodo storico-artistico, ma di illustrarne anche le molteplici sfaccettature che lo rendono uno dei più interessanti della pittura italiana a cavallo tra il XIX ed il XX secolo: il fermento politico ed intellettuale, le contaminazioni e la collocazione geografica, rendono infatti impossibile scindere la Liguria dal resto dell'Italia e d'Europa, ed è proprio all'interno di questo affascinante contesto che si snoda la mostra.
L'interesse anche internazionale per la pittura italiana ha indubbiamente favorito la sua valorizzazione, ma ne ha altresì reso più difficile il reperimento; abbiamo quindi nel tempo raccolto e selezionato con cura gli artisti e la qualità delle loro opere, nella speranza di poter oggi offrire una esposizione di livello e che ben riesca a rappresentare questo periodo a noi caro.
Confidando che il nostro lavoro sia gradito, ringraziamo sin d'ora tutti i collezionisti e gli amanti dell'arte, che in questi anni con la loro stima ed il loro sostegno ci hanno incoraggiato a realizzare anche questo progetto.

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Pittura dell'800

Esposizione di Pittura Italiana dell'800 - IV Edizione.

Dopo le mostre dedicate alla produzione artistica di Pompeo Mariani e alle esposizioni sulla pittura europea, incentrata sui temi naturalistici e venatori, siamo lieti di ripresentare, dopo molti anni dall'ultima realizzata, la IV Rassegna di pittura italiana dell'Ottocento.
La mostra, costituita da una cinquantina di opere, ha l'intento di offrire una panoramica sulla pittura del XIX secolo, rappresentata dalle varie scuole regionali, dai diversi linguaggi tecnici e pittorici e dalle molteplici tematiche affrontate.
Non è stato semplice raccogliere un numero così cospicuo di dipinti, in quanto il mercato, a fronte di una richiesta sempre più precisa e consapevole da parte dei numerosi collezionisti che nel corso degli anni si sono avvicinati alla pittura dell'ottocento, è diventato sempre più 'avaro' di opere che presentino un alto livello qualitativo e di contenuto.
Sperando che il nostro quotidiano impegno risulti all'altezza delle aspettative, lasciamo il giudizio su questa mostra ai nostri clienti e visitatori che, con la loro presenza ed il loro eventuale consenso, saranno per noi stimolo e sprono per nuove future rassegne.

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Natura e caccia nell'Arte Europea dell'800

Opere di carattere Naturalistico e venatorio- III Edizione.

Nonostante le notevoli difficoltà del mercato attuale, in cui diventa sempre più problematico reperire opere pittoriche a soggetto naturalistico di pregio o di autori importanti, siamo riusciti anche quest'anno ad organizzare una rassegna di dipinti a nostro avviso interessanti e degni di nota. Siamo perciò lieti di presentare, tra le altre opere, un dipinto di Andersen-Lundby, il pittore 'della neve', che ha consacrato la sua produzione alla rappresentazione di paesaggi invernali; una pregevole Natura Morta con cani, opera di Benno Adam, un'interessante tela di Carl Friedrich Deiker, incentrata sul particolare momento del 'riporto', un suggestivo paesaggio firmato Jean-Baptiste Kindermans, e altre tele di grandi atmosfere, quali quelle di Joseph Rummelspacher, Georg Emil Libert e Eduard Pape; concludono questa panoramica sugli autori europei due tele rappresentanti camosci in alta montagna, realizzati da Franz Von Pausinger, e due dipinti di Josef Schmitzberger. Particolarità della mostra di quest'anno sono le pregevoli ed importanti opere italiane, tra le quali presentiamo anche due tele di Giovanni Battista Quadrone, rispettivamente il cane non vuole andare e L'alba del cacciatore, opere famose e documentate, sempre appartenute al figlio del pittore Carlo, e solo in tempi più recenti passate ad un'altra collezione privata; seguono Natura morta di fagiani e Germani abbattuti, due dipinti di Filippo Palizzi, il grande interprete della pittura verista napoletana; infine non poteva mancare Pompeo Mariani, che presentiamo con un piccolo ma raffinato paesaggio della Zelata. Tra gli altri autori ricordiamo Tito Pellicciotti, e Giovanni Califano. Tutti questi artisti, sia italiani che stranieri, dotati di una particolare sensibilità, amanti della natura e profondi conoscitori anche del contesto venatorio, hanno trasposto sulla tela, ognuno con la propria capacità interpretativa, gli aspetti e gli spettacoli più suggestivi e coinvolgenti da loro vissuti. Noi, a nostra volta, abbiamo scelto queste opere al fine di proporre una rassegna che abbia valenza dal punto di vista artistico, selezionando soltanto opere importanti o autori di rilevanza storica, rappresentati nei maggiori musei europei.
Ci auguriamo che questa Terza Rassegna, da noi allestita e organizzata con grande impegno ed entusiasmo, sia accolta con lo stesso grande consenso manifestateci nel corso degli appuntamenti precedenti.

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Telemaco Signorini (1835 - 1901). Le ricerche degli anni giovanili e la Firenze scomparsa attraverso quattro capolavori

Presentazioni di Quattro capolavori di Telemaco Signorini.

La nostra Galleria è onorata di poter presentare quattro importanti opere di Telemaco Signorini, artista fondamentale nell'evoluzione della pittura italiana del XIX secolo.
Uomo di cultura, grande ricercatore e vivace assertore di nuove teorie, influenzò, infatti, con le proprie idee molti artisti e critici del suo tempo.
La bibliografia relativa a Signorini annovera un numero considerevole di pubblicazioni, curate da critici illustri, pertanto l'intento di questo studio non consiste nel tracciare nuovamente, se non solo con brevi cenni, un profilo biografico e artistico del pittore, ma focalizzare l'attenzione su questi quattro dipinti, ricostruendone la storia, con la maggiore precisione possibile, e cercando di fare chiarezza su quanto già scritto sin'ora.
Il vasto panorama bibliografico dedicato a Signorini, purtroppo non contempla ancora un catalogo ragionato, quindi, le notizie relative alla sua produzione pittorica, si rifanno a tutta una serie di pubblicazioni comparse nel corso del secolo scorso che purtroppo, a volte, presentano alcune imprecisioni o contraddizioni. Nel tentativo di collocare nel modo più corretto e scientifico possibile le quattro opere nel percorso artistico di Signorini, ho consultato, infatti, tutte le pubblicazioni che contemplavano i dipinti in questione, e nel corso di questa ricerca ho riscontrato alcune inesattezze che ho qui segnalato con l'intento di dare un piccolo contributo per una loro precisa collocazione storica.
I quattro capolavori permettono di ripercorrere alcune delle tappe fondamentali del cammino artistico di Signorini, dimostrando come l'artista fosse sempre in continua evoluzione, animato da un inesauribile desiderio di ricerca, da una volontà di sperimentare sempre nuovi linguaggi pittorici.
Nel primo capitolo sono presentati, infatti, Il ritorno dalla capitale e All'Abbeveratoio, opere appartenenti al periodo giovanile, che testimoniano, il primo, l'esperienza della 'macchia', e il secondo quel momento di evoluzione artistica che condurrà il pittore al periodo denominato della Scuola di Piagentina.
Nel secondo capitolo, invece, sono presentati Il ghetto di Firenze e La Via del Fuoco, dipinti da collocare cronologicamente agli inizi degli anni ottanta, quando l'artista si dedicò particolarmente alla rappresentazione del Mercato Vecchio, l'antico centro di Firenze che stava per essere completamente distrutto. Le due tele non solo rappresentano una preziosa documentazione storica quali sono tutte le opere di Signorini legate a questo soggetto, ma anche un'ulteriore conferma della sua sensibilità artistica e della sua magistrale abilità nell'interpretazione delle luci e delle atmosfere di quei vicoli scomparsi per sempre.
Quattro opere, quindi, altamente rappresentative della produzione artistica di Telemaco Signorini, che, ritengo,
contribuiscono ulteriormente ad evidenziarne il talento e la ricca e complessa personalità.
Un sentito ringraziamento alla Dott.ssa Dunia Grandi per la stesura del testo e in modo particolare per il lodevole approfondimento da lei realizzato sull'argomento relativo alla scomparsa dell'antico centro fiorentino.

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Natura e caccia nell'Arte Europea dell'800

Opere di carattere naturalistico e venatorio - II Edizione.

È con immenso piacere che presentiamo la II Rassegna di Natura e Caccia nell'arte europea dell'800.
Come nell'edizione precedente il nostro intento è stato quello di offrire al nostro pubblico una nutrita collezione di dipinti che annovera alcuni dei nomi più rappresentativi dell'arte naturalistica europea. Accanto ad opere inedite di artisti già proposti, come, per esempio, quelle di Christian Kròner, Josef Schmitzberger, Cari Friedrich Deiker e Carl Zimmermann, sono esposti, tra gli altri, importanti quadri dell'austriaco Otto von Thoren, del danese Peder Mork Monsted e dei tedeschi Anton Hubert Henke e Albert Singer; artisti importanti nel contesto culturale in cui hanno operato e che hanno rappresentato un prezioso punto di riferimento nella pittura a tema venatorio. La scelta dei temi e dei soggetti è stata particolarmente accurata: accanto alle opere consacrate alle immagini dei cervi, caprioli e camosci, uno spazio particolare è stato dedicato all'attività cinegetica - magistralmente interpretata da Eugène Petit e dalle mute di cani, rappresentate rispettivamente da Otto von Thoren e Pauline Soltau - ed a tutte quelle opere incentrate su una riproduzione fedele ed accurata dell'animale, sapientemente inserito nel suo ambiente naturale, come, per esempio, i galli forcelli di Schmitzberger, sorpresi alle prime luci dell'alba o i cinghiali di Henke, rappresentati sul far della sera. Una varietà di soggetti che offre la possibilità di dimostrare come il tema venatorio sia motivo di molteplici spunti ed ispirazioni, interpretati da ogni artista in modo strettamente personale; ciascun pittore lo ha rappresentato attraverso la propria sensibilità, chi prediligendo l'eleganza degli uccelli, o la natura selvatica dei cinghiali, chi la forza e l'irruenza dei segugi o la maestosità del cervo, regalandoci così un panorama il più eterogeneo possibile di questa realtà così complessa ed affascinante, che abbiamo tentato di presentare nel modo più completo ed esauriente, con la speranza che questa II Rassegna sia accolta con gli stessi consensi ed entusiasmi avuti nell'edizione precedente.

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Natura e caccia nell'Arte Europea dell'800

Opere di carattere naturalistico e venatorio - I Edizione.

E' con grande piacere che presentiamo la I Rassegna di pittura, interamente dedicata a Natura e Caccia nell'arte europea dell'800. La raccolta delle opere ha comportato un notevole sforzo, in quanto è risultato estremamente difficile reperire sul mercato dipinti del XIX sec. di alta qualità, dedicati al soggetto venatorio, inserito nei più vari ambienti naturalistici. Abbiamo preferito privilegiare i temi che meglio riflettono il profondo ed autentico rispetto che il cacciatore nutre nei confronti della natura, osservata, indagata e conosciuta in tutte le sue manifestazioni. La nostra ricerca, quindi, si è indirizzata verso opere a tema, che possono ricordare e testimoniare il forte e profondo connubio, storico e secolare, tra ambiente ed attività venatoria. L'esposizione annovera principalmente opere di autori tedeschi, austriaci, danesi, francesi e italiani. Pittori autorevoli, quali, per esempio, Christian Kroner, Moritz Muller, Carl Zimmerman, Carl Friedrich Deiker, Anders Andersen-Lundby ecc., presenti nei più importanti musei europei, che hanno consacrato la loro attività alle rappresentazioni paesaggistiche, molto spesso realizzate en plein air ed incentrate sulla raffigurazioni di cervi, caprioli e camosci, magistralmente inseriti nelle suggestive distese boschive delle Alpi, e dipinti con un tale naturalismo da comunicare quell'autorevolezza e maestosità che è loro propria. Nella pittura nordica questi animali, in modo particolare il cervo e il cinghiale, nobili per tradizione, trovano, quindi, la loro legittima celebrazione, condivisa pienamente dalla sensibilità del cacciatore. Completano il panorama artistico europeo opere di pittori italiani, che contribuiscono ulteriormente a confermare quanto l'attività venatoria, talmente radicata nella nostra storia, ed espressa, nel corso dei secoli, anche attraverso l'attenzione per l'oggetto, l'abbigliamento, e l'artigianato, faccia profondamente parte della nostra cultura.
Lo dimostra, ad esempio, il quadro di Giorgio Lucchesi, realizzato con una perizia quasi fotografica dei particolari, che indugia non solo sulla resa della selvaggina, ma anche sulla raffinata rappresentazione delle armi, della cassapanca e dell'intero arredamento della casa di caccia; lo confermano la tela di Pompeo Mariani, in cui viene trasposta una realtà profondamente conosciuta dal pittore, assiduo frequentatore della Zelata, una riserva di caccia del pavese, e l'opera di Eugenio Cecconi, considerato uno dei maggiori artisti italiani dediti al tema venatorio, che era solito raccontare nei dipinti le sue esperienze da cacciatore ed il profondo rapporto di complicità che si instaura con il proprio segugio; lo testimoniano il quadro di Beppe Ciardi, in cui sono rese quasi palpabili le emozioni del cacciatore, magistralmente inserito in una suggestiva atmosfera crepuscolare, e la tela di Alfredo Vaccari, consacrata alla rappresentazione di uno splendido esemplare di cane da caccia. Immagini eterogenee, scaturite da sensibilità diverse, che, sperando di essere riusciti a selezionare nel modo più pertinente, sia da un punto di vista qualitativo, che da quello di una fedele rappresentazione dei vari soggetti e aspetti dell'attività venatoria, ci auguriamo risultino ai visitatori come evocatrici di esperienze personali e di sensazioni intimamente sentite.

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Taccuini di viaggio e opera grafica di Pompeo Mariani (1857 - 1927)

I taccuini di viaggio di Pompeo Mariani rimasti nello Studio di Bordighera.

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Pane e lagrime. Un capolavoro ritrovato di Domenico Induno (1815 - 1878)

Presentazione di un dipinto di Domenico Induno.

E' stato quasi un colpo di fulmine! Un amore a prima vista! Quando vidi casualmente per la prima volta quest'opera di Domenico Induno, ne fui immediatamente colpito: mi domandavo come fosse possibile che un quadro così bello, così carico di emotività e di sentimento potesse essere lì di fronte a me. Non ebbi esitazione, convinto della bontà del dipinto e deciso a studiarlo sino in fondo, ne feci l'acquisto. Ogni giorno quando entravo ed uscivo di casa gli dedicavo sempre uno sguardo, quasi a cercare di scoprire il suo segreto; vedevo che era una pittura di grande livello, che usciva dalla norma, ma non riuscivo ancora ad inquadrarla bene nella sua identità.
Mi domandavo: 'Possibile che un'opera così significativa e così toccante non abbia alcuna pubblicazione, alcuna traccia che mi permetta di ricostruirne la storia?'
Continuando ad ossevarla per giorni e giorni, cominciai a cercare di stabilirne il titolo. Fui colpito dalla forza espressiva di questa madre disperata che piangeva e di questa bimba dolcissima che la guardava, quasi impaurita, stringendo fra le mani un pezzo di pane... 'E se fosse il celebre Pane e lagrime?' mi domandai. 'No, non è possibile -meditai-, figuriamoci, un'opera così importante sarà senz'altro in qualche museo o in qualche raccolta famosa'. Iniziai allora una meticolosa ricerca, partendo dalla ricostruzione della storia dal Pane e lagrime famoso: il dipinto fu acquistato nientemeno che da Francesco Hayez, fu presentato nel 1854 a Brera, esposto a Parigi nel 1855 all'Esposizione Universale, ed infine venne incluso nella mostra retrospettiva dei fratelli Induno del 1891 a Milano; da allora si persero totalmente le tracce e nonostante lunghe e faticose ricerche non trovai nessuna raccolta pubblica o privata che includesse il Pane e lagrime, l'opera dunque si trovava ancora sul mercato.
Tutti i cataloghi delle suddette esposizioni ne riportavano solo il titolo, ma nessuno di essi ne raffigurava l'immagine così da poter conoscerne l'esatta iconografia. Consultai anche la grande monografia di Nicodemi in cui vi sono raffigurate due versioni di
Pane e lagrime, ma una era datata 1869, mentre l'altra, oltre ad essere piuttosto abbozzata, era stilisticamente di epoca posteriore al 1854 (Esposizione di Brera).
Rivolsi anche la mia attenzione ad una raccolta di incisioni in cui tutti i fogli rappresentavano opere di famosi autori italiani esposte nel primo '800 alle Promotrici di Genova, e ne trovai una, datata 1858, raffigurante un dipinto di Domenico Induno da titolo Pane e lagrime: sì, il soggetto era simile al mio, ma i dettagli e le espressioni delle figure erano diverse.
Avevo quasi perso tutte le speranze, quando decisi di fare un ultimo tentativo: tra le riviste d'arte dell'epoca degli anni 1854-55 doveva pur essere commentata l'esposizione di Brera, chissà se anche con qualche illustrazione: un quadro, all'epoca così famoso, avrebbe certamente dovuto lasciare qualche traccia. Consultai in biblioteca tutte le riviste che mi fu possibile, finché mi vennero in mano le Gemme d'Arti Italiane del 1856, che riportavano un articolo di Michele Macchi scritto esclusivamente per quest'opera, con l'illustrazione della stessa identica al mio quadro anche nei più piccoli dettagli. Ero finalmente riuscito a scoprire che il mio quadro era proprio il Pane e lagrime esposto a Brera, a Parigi e di ex proprietà Hayez. A quel punto ho capito perché mi aveva così profondamente colpito: ero di fronte ad un'opera che decine e decine di importanti storici e critici, fra cui il francese Thèophile Gautier, hanno esaltato per decenni come una delle più innovative del tempo; essa segnava infatti una svolta netta nell'arte figurativa dell'epoca, abituata ad esprimersi prevalentemente in soggetti storici e classicheggiano, portandola invece verso la pittura di genere ma di forte contenuto ideologico e di grande impegno sociale.

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Pompeo Mariani (1857 - 1957). Opere dallo Studio di Bordighera

Mostra sulle opere di Pompeo Mariani provenienti dallo Studio di Bordighera.

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Pittura dell'800

Esposizione di Pittura Italiana dell'800 - III Edizione.

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Pittura dell'800

Esposizione di Pittura Italiana dell'800 - II Edizione.

Nell'intenzione di continuare l'appuntamento annuale con la pittura dell'800, è con la stessa passione e con lo stesso impegno dello scorso anno, che abbiamo preparato questa seconda rassegna.
Nonostante le oggettive difficoltà di operare in un mercato sempre più avaro di offerte interessanti, abbiamo riunito un discreto numero di opere da noi ritenute artisticamente e qualitativamente valide per rappresentare buona parte della pittura nazionale del secolo scorso.
Questa esposizione propone perciò autori delle più diverse scuole italiane, in quanto riteniamo che l'arte sia un valore universale, senza confini regionali o nazionali: non dimentichiamo che le più importanti raccolte del passato, oggi ospitate in prestigiosi musei, evidenziando il gusto e la cultura dei loro creatori, sono state costituite con questo principio ispiratore. Speriamo comunque di essere almeno riusciti a dare le stesse soddisfazioni dell'edizione precedente a tutti gli amici collezionisti, appassionati, o anche semplici visitatori, che vorranno premiare con la loro presenza in questa mostra le nostre fatiche organizzative.

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Pittura dell'800

Esposizione di Pittura Italiana dell'800 - I Edizione.

È con grande impegno che ci accingiamo a presentare questa prima rassegna pittorica, quale simbolica inaugurazione della nostra sede nella prestigiosa Via Garibaldi a Genova.
Non nascondiamo, però, di aver avuto non poche difficoltà, soprattutto nella ricerca di opere di buon livello pittorico, degne di essere esposte e descritte ad un pubblico colto e preparato come quello genovese.
Ci auguriamo, comunque, che i nostri sforzi non siano stati vani e che questa rassegna possa diventare un appuntamento abituale per tutti coloro che amano ed apprezzano la pittura di quel secolo meraviglioso che è stato l'Ottocento. A quest'ultimi porgiamo il nostro più caloroso invito a visitare l'esposizione, rimettendoci al loro giudizio per poter eventualmente migliorare in futuro.

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